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REZENSIONEN

Corriere della Sera, 5 Giugno 2014

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Nei cantieri della modernità

La riscoperta delle architetture nell’Italia della ricostruzione

Invisibili. Scomparse agli occhi dei passanti frettolosi e di chi le frequenta quotidianamente. Normalizzate dalla consuetudine. Dimenticate. Sono le architetture della modernità italiana, figlie delle speranze e delle utopie del dopoguerra, del boom economico. Architetture di un paese in fermento, che sperimentava con innovazioni originali, a volte dirompenti, ma soprattutto lontane dai diktat dell’ortodossia modernista. «Architetture che — ci ricorda Fulvio Irace — anticipavano il futuro invece che rimpiangere il passato». In realtà su quelle architetture e su quel periodo storico così denso e dibattuto si è tornati da qualche tempo a fare luce, cercando finalmente di affrontare il tema senza pregiudizi e in maniera non ideologica. Questione assai delicata, soprattutto in un paese come l’Italia dove lo scontro ideologico ha spesso costituito lo sfondo quando non la trama del racconto di quegli anni. In questa difficile operazione ci aiuta un progetto molto interessante — e paradossalmente, ma non troppo, straniero — intitolato per l’appunto Italomodern, «un piccolo gioiello di ricerca sul campo», un viaggio di scoperta (o di riscoperta, come lo erano i grand tours architettonici dell’800) nel «cuore nobile dell’Italia della ricostruzione» a cura di due fratelli austriaci, Martin e Werner Feiersinger — il primo architetto, il secondo scultore e fotografo —, iniziato nel 2005 e sfociato in una pubblicazione (2012) e in una mostra itinerante. La mostra approda, prima tappa italiana, a Bergamo. E ci parla di edifici diversissimi tra loro per carattere architettonico, accomunati solo dall’essere figli di un approccio fortemente sperimentale: una ricerca di coerenza formale fuori dai canoni del modernismo, fatta di poetiche nate da un «processo di continua reinvenzione». A conferma dell’esistenza di una «via italiana alla modernità», il cui tratto specifico — sostiene Cino Zucchi — è stato il suo esprimersi con «innesti» in contesti urbani stratificati: «una modernità anomala, che procede interpretando e incorporando gli stati precedenti attraverso “metamorfosi continue”». Non si è trattato quindi solo di un problema di linguaggio (o di rottura dei codici), ma di un nuovo modo di concepire il progetto, di prefigurare spazi adatti alle nuove necessità e ai nuovi stili di vita. Di «esperimenti» a tutti gli effetti, che hanno proposto un approccio più libero nella ricerca sulle nuove forme dell’abitare, nuovi modi di relazionarsi con la città e di integrare al proprio interno le funzioni urbane. Una nuova idea di città insomma. Peculiare e specificamente italiana. 

Per evidenziare questo tratto Martin Feiersinger sottolinea «l’incredibile ampiezza, vivacità e versatilità del panorama architettonico italiano del dopoguerra, lo sviluppo simultaneo di scuole e posizioni completamente differenti» e afferma la necessità di non interpretare la definizione «anomalia italiana» in chiave riduttiva. Le «deviazioni» dell’esperienza italiana vanno intese, a suo avviso, come «importante contributo allo sviluppo dell’architettura moderna internazionale: il rifiuto di un modello rigido e la svolta verso un’architettura più complessa, sensuale e contestuale». Se questa «revisione italiana» al moderno, questa «altra modernità» è passata in primo luogo attraverso le opere e il pensiero di maestri riconosciuti (Albini, Bottoni, Gardella, Rogers), la cosa stupefacente è la grande qualità dei numerosi episodi cosiddetti minori che caratterizza il contesto di quegli anni che la ricerca dei fratelli Feiersinger ha il merito di riportare alla luce: come una sorta di «guida all’Italia dimenticata» ci illustra la ricchezza in questo senso della provincia italiana e le molteplici sfaccettature del fenomeno. Un vero e proprio repertorio di soluzioni spaziali inedite. All’interno del progetto Italomodern Bergamo ha un ruolo d’eccezione: ben sei edifici bergamaschi compaiono infatti nella pubblicazione. «Una scena architettonica forte — ricorda Feiersinger —, nella quale le varie tendenze internazionali non sono state semplicemente imitate, ma elaborate e ben “digerite”, facendo nascere qualcosa di indipendente». Un riconoscimento dell’apporto della ricerca fatta a Bergamo, derivata da un fermento e da una vivacità culturale che affonda le radici nella stagione delle avanguardie e si consolida verso la fine degli anni 40 — nel 1949 la città ospita il VII Congresso Internazionale di Architettura Moderna — quando emerge Giuseppe Pizzigoni (1901-67) quale di figura chiave nel passaggio da un’architettura fatta di esperienze coraggiose e isolate (e di poetiche personali) a un’architettura intesa come risposta organica di scala urbana. «Nello sviluppo di Italomodern — conclude l’architetto austriaco — il ruolo di Bergamo è stato particolarmente significativo»: non a caso qui inizia (Giuseppe Pizzigoni, Casa Minima, 1946) e termina (Giuseppe Gambirasio, Giorgio Zenoni, quartiere residenziale di via Carducci, 1976) l’itinerario proposto dall’esposizione. Un viaggio che dà conto di un contesto locale dinamico e plurale, fatto di decine di edifici di grande interesse, per i quali la sperimentazione rappresenta il carattere principale e il tratto distintivo. Tra questi possiamo senza dubbio annoverare la nuova sede dell’industria tessile Perofil a Bergamo (1960) di Giuseppe Gambirasio (1930), «un imponente quanto razionale palazzo industriale». Operazione progettuale di ricerca a tutto campo (dettagli, tecnologie innovative, procedimenti costruttivi e di messa in opera), resa possibile dall’apertura e dallo spessore culturale del committente Aldo Perolari (1905-1999) e dalla preparazione tecnica di tutti gli attori coinvolti. «Una straordinaria esperienza formativa» ricorderà Gambirasio parecchi anni più tardi. «Uno dei più bei contenitori industriali italiani del dopoguerra». L’edificio che ospita la mostra.

Paolo Vitali

 

L’Eco di Bergamo, 5 Giugno 2014

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Da domani al 25 giugno prossimi l’azienda Perofil di Bergamo (via per Zanica 14) ospiterà la mostra fotografica «Giuseppe Gambirasio & Italomodern». Una rassegna di immagini (nella foto) a opera dei fratelli austriaci Martin e Werner Feiersinger, di più di 80 edifici, realizzati tra gli anni Quaranta e Settanta (1946–1976) nel Nord Italia, arricchita di una sezione dedicata all’architetto Giuseppe Gambirasio.

La mostra, presentata a Innsbruck nel 2012, fa ora tappa in Italia su invito dell’Ordine degli Architetti di Bergamo e si arricchisce, a cura del medesimo Ordine, di una sezione dedicata all’architetto bergamasco, già presente nella rassegna Italomodern con alcuni edifici di sua progettazione.

Tra le opere di Gambirasio, si annovera anche la sede della Perofil di Bergamo, progettata nel 1960, e ancora oggi pienamente operativa. Una sede, dunque, particolarmente congrua all’esposizione, che permetterà ai visitatori di ammirare anche le pitture e sculture della Collezione Aldo Perolari, ospitate nella hall e nel parco.

L’inaugurazione, domani pomeriggio alle ore 18, sarà introdotta da una prolusione di Fulvio Irace, docente di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano. «L’Ordine degli Architetti di Bergamo – dichiara il suo presidente, Francesco Valesini – è lieto di aver portato nella nostra città la tappa italiana di una mostra che nasce dall’interesse, da parte dei due autori austriaci, per l’architettura prodotta nel nostro Paese, e in particolare nel Nord Italia, in un trentennio in cui sono state realizzate opere ormai da tempo consacrate, e altre, magari di pari valore, non ancora pienamente valorizzate». Alcune di queste «sono presenti anche nel nostro territorio, come alcuni edifici progettati da Giuseppe Gambirasio», figura «di spicco» dell’architettettura bergamasca del secondo Novecento, cui è appunto dedicata una sezione nuova e apposita «arricchita da installazioni video e filmati».

Proprio nel momento in cui, ricorda Valesini, si sta procedendo alla parziale demolizione (e al completo stravolgimento), in via Diaz, di una villa progettata dal grande Alziro Bergonzo, dimostrando «scarsa sensibilità culturale, ci sembrava giusto ricordare il valore e la qualità consegnataci da alcuni dei migliori esempi dell’architettura del Novecento realizzati nella nostra città e provincia».

Vincenzo Guercio

 

Bergamonews, 7 Giugno 2014

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Architettura di un trentennio

Alla Perofil la tappa italiana dedicata a Gambirasio

La mostra ITALOMODERN - ARCHITEKTUR IN OBERITALIEN 1946–1976, curata da Arno Ritter, Martin Feiersinger e Werner Feiersinger, presentata a Innsbruck nel 2012, fa ora tappa in Italia su invito dell’Ordine degli Architetti di Bergamo e si arricchisce di una sezione dedicata all’architetto bergamasco Giuseppe Gambirasio, già presente nella rassegna Italomodern con alcuni degli edifici da lui progettati.

Tra i progetti realizzati da Gambirasio, vi è anche l’edificio della sede PEROFIL di Bergamo, progettato nel 1960, ancora oggi pienamente operativo e perfettamente integro che per l’occasione diviene sede ideale della rassegna, insieme alla Collezione Aldo Perolari (sculture e dipinti) ospitata nella hall e nel parco, oggetto stesso della mostra.

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«L’Ordine degli Architetti di Bergamo è lieto di aver portato a Bergamo la tappa italiana di una mostra che nasce dall’interesse per l’architettura prodotta nel nostro Paese, e in particolare nel Nord Italia, da parte dei due autori austriaci, uno scultore e l’altro fotografo, in un trentennio in cui sono state realizzate opere significative e ormai da tempo consacrate così come edifici, spesso di pari valore ma non del tutto valorizzati e conosciuti. Alcuni di questi sono presenti anche nel nostro territorio, come quelli progettati da Giuseppe Gambirasio, figura di spicco dell’architettettura bergamasca del secondo novecento, cui è dedicata una sezione suppletiva arricchita da installazioni video e filmati» ha dichiarato Francesco Valesini, Presidente dell‘Ordine degli Architetti PPeC della Provincia di Bergamo «Proprio nel momento in cui si sta procedendo, alla parziale demolizione di un edificio come la villa in via Diaz dell’arch. Bergonzo, dimostrando scarsa sensibilità culturale, ci sembrava giusto ricordare il valore e la qualità consegnataci da alcuni dei migliori esempi dell’architettura del novecento realizzati nella nostra città e nella provincia. La mostra sarà inoltre presentata in un contesto insolito per eventi di questo genere, quale quello di una azienda storica come Perofil, i cui edifici sono opera dello stesso Gambirasio. Il tutto arricchito dalle sculture e dai dipinti della Collezione Aldo Perolari ospitati nella hall e nel parco».

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Redazione Bergamonews